I condannati ad un eterno lockdown
I° Tempo-Prefazione dedicata alla Scala B
di Cristina Battioni
Mentre il paese si appresta a riaprire io torno a chiudermi nel mio cubo sospeso al quarto piano della Scala B. Mi sto nuovamente perdendo in un tempo confuso tra vaccini che vanno e vengono in ordine sparso. Il disordine mentale stanca. Quando le porte dell’ ascensore si sono aperte sulla mia stanza segreta l’ ho trovata vuota, sono rimasti solo il grande divano e la cabina azzurra del Bagno Piero, spariti i libri, le foto, il vaso di fiori.
E’ vuota, come me. L’ esterno come l’ interno. Vediamo ciò che siamo. “Silenzio e vuoto” come scriveva Forster.
Devo mettere ordine, togliere la polvere dai pensieri e ritrovare il mio equilibrio provvisorio. Ho solo risposte ma mi mancano le domande. Sono qui e non mi chiedo più il perché. So di dividere questo spazio intangibile con estranei dispersi come me, solo questo mi rincuora.
Già, estranei, così parrebbe. Eppure risuoniamo, non abbiamo bisogno di mettere insieme parole o indagini per comunicare. Le persone, quando abbandonano il loro ruolo sociale, agito o subito, non hanno bisogno di raccontarsi la loro storia, la portano addosso.
Siamo tutti sul punto della resa, ad un millimetro dalla rassegnazione, la sentiamo, possiamo sfiorarla ma continuiamo a procrastinarla.
C’è tutto un tempo che scorre e tracima fuori di qui, trascinandoci tutti nell’ inconsapevolezza più cieca. Nessuno si fa più domande, tutti fingiamo di credere alle risposte che qualcuno confeziona per noi.
Oggi il silenzio è assoluto, parrebbe una domenica di diserzione alla Scala B.
Niente sole, solo un cielo grigio e il freddo di una strana mattina; fuori l’ Italia arancione dorme ancora, qui non c’è nessuno. Per la prima volta l’ atmosfera mi inquieta, non ho risposte. Mi infilo nell’ ascensore per cercare Seppia al piano T.
Nubi basse sfiorano le mura di protezione sui quattro lati del giardino nascosto, i colori dei fiori sono smorzati, il verde incupito dell’ erba ricorda il mare nei giorni di pioggia. L’ edicola sospesa ha ritirato le locandine storiche, al loro posto solo una targa.
Seppia non c’è, la sua assenza mi provoca un disagio premonitorio, lo chiamo, a voce alta, come non avevo mai fatto prima. “Seppia, Prof Seppia, sono Kami…la prego mi risponda.” Nessuna risposta, il tempo è immobile.
Mi volto, cerco qualcuno o qualcosa ed il mio sguardo incontra solo il lenzuolo di Ametista appeso al suo balcone, non e’ bianco, deve aver dimenticato di candeggiarlo dopo l’ ultimo post-it. E’ grigio e si gonfia a tratti, come una vela, rivelando pochi versi…
“Per scorgere l’ eternità in un granello di sabbia
e il paradiso in un fiore di campo
tieni l’ infinito nel palmo della mano
e l’ eternità in un’ ora.”
William Blake-I canti dell’ innocenza
Seppia compare dietro la vela con Ombra in braccio, è elegante, sembra un capitano fiero sul ponte mentre rientra in porto. Il bassottino non ha il suo solito collare ma un foulard colorato al collo, uno di quei bizzarri foulard con cui si avvolgeva il capo Ametista. Dolente oscilla in un abito rosa, Stante è un monolite grigio; tutti immobili come il tempo mentre scendono sul giardino minuscoli cristalli di cielo. E’ tutto chiaro, non servono domande né risposte. Il secondo piano sospeso ha perso la sua inquilina, ora è nel cielo, non più sospesa in attesa, solo libera.
Sfioro il rosario che Ametista aveva infilato per me, lo metto al polso ed il tatto mi fa percepire ogni lacrima di Giobbe perfettamente sferica.
Ho freddo dentro, mi rifugio nel chiosco dell’ edicola, in tre scansie è riposto il medesimo giornale sospeso “La Repubblica ” del 17 aprile, in quella di Ametista solo l’ inserto, una raccolta di poesie della Dickinson.
Ogni locandina è stata tolta, tolto il cartello “QUI GIORNALE SOSPESO”, sostituito, provvisoriamente, da una targa su cui si legge solo un numero inciso:
06-99313409
Prendo la mia copia di Repubblica, solitamente Seppia mi indica le domande che corrispondono alle mie risposte attraverso un quotidiano; le cerco.

Le trovo istintivamente sul fondo della prima pagina, in un articolo di Maria Novella De Luca: “UN TELEFONO BIANCO PER IL FINE VITA IN RICORDO DI FABO”