FARSI TROVARE

Per alloggiare in un bilocale della Scala B occorre essere trovati dalla Scala B.
La scala B ti trova solo quando non cerchi niente, nel momento di sospensione tra la persona che eri e quel’ essere in divenire in cui ti stai trasformando.
La fase di metamorfosi è lunga ed attraversa bizzarri periodi di transizione, interiori ed esteriori. Il cambiamento non è immediatamente percepibile dall’ esterno; apparentemente fai le stesse cose ogni giorno, come ogni giorno ti alzi, fai colazione prima di apprestarti a svolgere meccanicamente tutte le operazioni memorizzate e fossilizzate, fai tutto quello che devi fare spinto da una misteriosa forza d’inerzia; ma lo fai dall’ interno di una bolla trasparente.
La bolla ti separa dal contesto senza renderti invisibile ma amplificando la tua sensazione di estraneità da tutto ciò che è all’ esterno; è come un palloncino senza filo, quel filo che ti congiungeva ed ancorava ad un punto fermo.
Nella bolla esci dal tempo digitale, finalmente, e ti riconnetti al tuo tempo, l’analogico. Sei fuori dal tempo degli altri, sempre in anticipo o sempre in ritardo; comunque desincronizzato. Il tempo digitale da tutti condiviso, rincorso, buttato o temuto non ti appartiene più, cominci a subirlo.
Così mentre l’ udito fatica a collegare le parole che ascolti al loro senso, significante e significato si annullano nella sordità che ti conduce gradualmente al silenzio.
Cominci a faticare, non senti, non capisci, non dialoghi più scivolando nella tua fase “di poche parole” prima, quasi silente, poi. Ti sorprendi ad amare il silenzio, a non averne paura, nel non identificarlo con la solitudine ma con il ristoro.
Quando cominci a parlare con te stesso, ma non con quello di ieri perché anche i suoni di ieri hanno una partitura incomprensibile, sei già irrimediabilmente coinvolto in uno stadio avanzato del tuo mutamento. I nuovi pensieri si impongono senza sgomitare come tuo unico referente, parli con loro sempre sottovoce, bisbigliando in modo che nessuno se ne accorga. Anche il tuo aspetto comincia a mutare subdolamente, lentamente, particolare dopo particolare. Finché un giorno ti guardi allo specchio e ti chiedi chi è quel volto, a chi appartiene quel corpo riflesso? Sei tu ? Ma da quando sei tu? Io , io non me la ricordo la persona riflessa nello specchio, sì forse somiglia vagamente a una ragazza che conoscevo qualche vita fa, una nervosamente inappuntabile e maledettamente brava nel dare un fuori adeguato ad un dentro inadeguato. Nello specchio la gioventù è scomparsa con il suo luccichio insensato, la sconosciuta è più bassa, gli occhi si sono opacizzati come per effetto di un pessimo filtro, nessun sorriso.
Non affronti più i tacchi, anzi li osservi guardinga come oggetti estranei con cui non ti vuoi più confrontare. Erano “cose” di ieri, facevano rumore, avvertivano il tuo arrivare o il tuo andartene. Le scarpe basse abbassano, ti permettono di camminare velocemente, di non farti né sentire né notare , in caso di necessità.
Sono un ottimo strumento di fuga prima, di sospensione cosciente e discreta, poi.
Lo stato di sospensione ha esattamente lo scopo di passare inosservati. Non è grave e se gestito moderatamente può trasformarsi in un atto liberatorio, in un’ insperata presa di coscienza…Se gli altri non mi notano, se non mi indagano, posso mettermi in pausa, posso essere fuori dal loro raggio di giudizio o approvazione, posso permettermi il lusso di essere fuori dal loro tempo. Niente di patologico, solo distanza vitale.
In teoria.
Dietro un volontario lockdown c’è sempre una frattura, un trauma, un crocevia, una caduta; qualcosa che nell’ immediato avevi pensato di aggirare aggrappandoti alla routine, al senso del dovere, agli stereotipi che ti avevano definito prima del crocevia, prima della discesa verso un senso precario di non appartenenza. L’ Evento “E” in cui sei inciampato non ti ha mai lasciato, resta dentro i pensieri, li corrode come una goccia…plinn..plinn..fino a plasmarli con il suo scadenzario così diverso da quello delle lancette del tuo orologio.
Da abitante e proprietario assoluto del tuo centro del mondo ti ritrovi esule, un apolide rassegnato che non aderisce ad un periodo, ad un ambiente, al quotidiano socialmente condiviso che lo circonda. L’ apolide nella sua bolla non cerca di fuggire ha perso l’inquietudine giovanile propensa alla fuga spaziale, non ha l’ illusione che altrove sarà diverso. Altrove non esiste perchè il sospeso non ha un indole nomade, non ha mai imparato a scappare; è uno che resta e resta da solo con la consapevolezza di non poter contare sulla quadratura di una partita doppia in dare e avere. C’ è chi resta e chi no, niente di eroico, nessuna aspettativa.
Da non eroe cominci a cercare un rifugio temporaneo ma ben nascosto dove fermarti a rimuovere i senso di vertigine provocato dal moto di ascesa e discesa che continua a centrifugarti dopo essere inciampato al bivio. Se la salita era stata faticosa e adrenalinica, la discesa è stata veloce e violenta.
Mentre scivoli cercando di rallentare puntando i piedi ( ecco perché è meglio indossare scarpe comode) scivola anche tutto ciò che intravvedi intorno, scivolano le persone, le cose, il panorama, tutto è in discesa. E per quanto tutte le tue energie si sprechino nel tentativo di invertire la rotta ,ottengono l’ effetto opposto, ti agitano scoordinandoti mentre cadi, ruzzoli, ti sporchi, ti fai male, cambi.
Così quando ti fermi ,quando finalmente riesci ad aggrapparti a un punto di ancoraggio o ti ritrovi appallottolato in uno spazio piano, ricominci a respirare e a guardarti intorno e indietro senza riconoscere nulla. Quello che era dietro, la salita, la meta, non sono più “roba tua”,non si vedono , non esistono. Sei approdato su un altro piano, in un altro spazio.
Ed è in quel momento in cui non sei tu a cercare un rifugio ma un rifugio trova te, un rifugio sospeso, come te, un piccolo spazio che contiene la roba “tua” senza che tu l’ abbia portata o selezionata prima del trasloco.
Sei in una bolla amplificata che ti contiene ,in una casa di protezione dove ritrovare un tempo e un ritmo nuovi senza osservatori, dove parlare da soli non è sintomo di follia ma semplicemente dialogo. La casa senza orologi ma piena del tuo tempo è l’ unico luogo in cui ti puoi fermare per trovare un nuovo ritmo e capire, se e come sia possibile accordarlo con quello esterno.
Cristina Battioni