Il Servizio sanitario nazionale : pubblico ed universale… Ma per quanto ?
di Cristina Battioni
Questa è la storia vera di “E” e di tutti i sans papiers emersi, senza salvagente, dalle onde di una pandemia senza passaporto , dei tanti naufraghi del lavoro sommerso tratti in salvo dalle scialuppe del Servizio sanitario nazionale che, nel frattempo, cola a picco.
Mentre il Titanic affondava l’ orchestra continuava a suonare; mentre gli ospedali vengono depredati ed affondati da tagli e contagi, i medici continuano a curare.
“E” ha 53 anni ma è una donna senza età, assomiglia a una matrioska , la terza di tre sorelle , il seme nascosto. Ha un volto paffuto e le guance rosa, un corpo piccolo e compatto, un approccio gentile che manifesta ripetendo sempre la prima frase in italiano che ha imparato: ” Grazie, mia cara/o”; è il suo slogan, anche quando non c’è nessun motivo di ringraziare.
Ha lavorato in Russia fino al giorno in cui è diventata per la Russia una colf troppo anziana, non sufficientemente atletica, non sufficientemente tecnologica e nemmeno abbastanza forte. Così è tornata in Moldavia con la sua insufficienza anagrafica e nessuna voglia di ripartire. Ad attenderla non ha trovato una famiglia festante ma i debiti non ancora estinti, una casa da sistemare e un libretto di risparmio lasciato, precocemente, in eredità ai figli.
Per sopravvivere è entrata nel gioco delle sostituzioni. Ogni giorno a Parma, come in molte città italiane, arrivano e partono decine di donne dell’ Est ; per una che torna a casa c’è né una che arriva a prendere il suo posto a tempo determinato; due, tre mesi al massimo. “E” è rientrata in Italia a giugno, nel momento in cui tutto sembrava ripartire verso la normalità , ma lei non è ripartita.
Terminata la sostituzione estiva ha continuato a rimpiazzare colleghe che si ammalavano o non riuscivano a tornare in Italia, nemmeno imbarcandosi su autarchici pulmini allenati ad eludere controlli e frontiere con estenuanti percorsi alternativi, mescolando ed accatastando persone e merci.
Come tutte le “sostitute” che restano è diventata una delle 200.000 invisibili , senza permesso di soggiorno e senza contratto di lavoro. Il gioco sembrava ormai collaudato , abituale, scontato dopo anni di routine.
Collaudato e abituale fino al 26 febbraio quando il Covid bussa alle porte del suo corpo; qualche linea di febbre, qualche colpo di tosse e le ossa stanche; ma per una matrioska sono dettagli, è abituata a lavorare con la febbre e la spossatezza di un passato ingombrante sulle spalle.
Lei non si ferma e non si lamenta perché fermarsi vuol dire non guadagnare, non guadagnare significa non poter pagare i debiti o una stanza in affitto, non sopravvivere.
Non dice niente a nessuno, comincia a fare come le altre, si fa di Tachipirina e antibiotici a largo spettro e medicinali di fortuna, ereditati o prestati ; minimizza con le sorelle , con le coinquiline, sperando che tutto passi, come una banale influenza.
“E” è una delle migliaia di badanti che la pandemia ha colpito, prima economicamente, poi anche fisicamente. I dati pubblicati da Assindatcolf dimostrano come la morte di migliaia di anziani ed il peggioramento delle condizioni economiche abbiano costretto 2.400 famiglie italiane a licenziare il 30% delle persone assunte a tutela dei loro cari.
Le previsioni per l’ anno corrente stimano un 41,7% di licenziamenti degli oltre 865.000 collaboratori domestici assunti e regolarizzati. Un mondo di care givers composto, quasi esclusivamente, da donne straniere. Alcune sono tornate a casa; altre, pur di lavorare, hanno accettato turni h/24 per evitare contatti con il mondo esterno e non diventare potenziali veicoli di contagio; molte sono diventate collaboratrici delle pulizie domestiche saltuarie, dove e quando capita, sempre e comunque in nero.
” E” capisce di essere stata contagiata ma , essendo un fantasma, si nasconde; non ha un medico, non ha una residenza ufficiale ed è assolutamente certa di non avere nessun diritto.
Decide si fermarsi e sparire tra le coperte del suo letto. Lascia i lavoretti di pulizia alle sostitute che giustificano la sua assenza inventando la solita scusa della partenza improvvisa per gravi motivi famigliari.
Il 6 marzo, dopo nove giorni di latitanza febbricitante, la paura di essere un fantasma clandestino lascia il posto, per un attimo, all’ istinto di sopravvivenza. Qualcuno chiama il 118 e, finalmente, un’ ambulanza la trasporta al Pronto Soccorso . E’ sola, come tutti gli 87 pazienti in attesa di diagnosi, non riesce a spiegarsi e a comprendere i termini tecnici di una lingua che non le appartiene.
Ha paura, paura dei suoi polmoni che la stanno tradendo ma, soprattutto, ha paura di essere messa alla porta dopo essere stata segnalata alle autorità, come accadrebbe nel suo paese.
Dal suo cellulare chiede aiuto alle matrioske maggiori e regolari ma nessuno può raggiungerla e nessuno sa, esattamente, come aiutarla.
La aiuta il Servizio sanitario pubblico, dove il significato di “pubblico” viene interpretato ed agito nel rispetto assoluto delle intenzioni di chi lo ha concepito per dar vita ad un sistema di cure aperto a tutti, a tutta la comunità intesa come totalità sociale.
Benché sembri un’ utopia è una realtà italiana che mette al sicuro anche “E” nella sua inconsapevolezza, lei è una sans papiers ma, al suo fianco, i medici, i radiologi, le infermiere sono tutti “sans frontieres”.
Forse al triage l’ hanno informata di essere protetta da un codice regionale STP (straniero temporaneamente presente) ma nessuno in un Pronto Soccorso stravolto dall’ emergenza virale ha il tempo di spiegare o tradurre con calma, tutti hanno solo il tempo di fare, tamponare, salvare.
Dal momento del suo accesso “E” non è più un ospite indesiderata ma una paziente della AUSL regionale che assicura il diritto di cura ai cittadini extra-Ue, anche se irregolarmente presenti sul territorio nazionale.
Nel primo pomeriggio è già stata sottoposta a tac e ad un primo tampone, le hanno richiesto solo i suoi dati anagrafici e fatto firmare un’ autocertificazione di indigenza che le permetterà di essere curata, senza aggiungere debiti ai debiti che l’ hanno portata qui.
Alle 22 con il referto del del secondo tampone, che conferma la sua positività, arrivano anche le spiegazioni del medico responsabile che si appresta ad uscire, finalmente, per il cambio turno. Le espone la sua diagnosi e la tranquillizza sottolineando che non deve tremare o scappare poiché nessuno la segnalerà alla polizia, non avendo commesso o subito alcun reato ;usa parole semplici e concrete : “Lei è solo l’ ennesima vittima di un Covid trascurato, che non distingue tra regolari e irregolari “.
Poche parole non guariscono ma la fanno rinascere. Nella fatica del respiro riesce ad essere felice, a percepirsi come un essere umano privilegiato, forse per la prima volta nella sua vita. Non è sola, sarà curata, avrà i farmaci e le dosi corrette e, per sei mesi, verrà seguita ed aiutata nel suo percorso di auspicabile guarigione.
La sua voce gracchia nel telefono della sorella e, indipendentemente dalle parole che pronuncia faticosamente, si percepisce solo una gratitudine stupefatta ed una gioia che contagia tutti i presenti, anche me.
Dopo tanto tempo mi sento orgogliosa di appartenere ad un’ Italia piena di errori, scorrettezze, negligenze, furbetti e corrotti ma, ciononostante, capace di realizzare piccoli miracoli.
Ma per quanto ancora?
La piccola matrioska è stata salvata ma la Sanità italiana che l’ ha accolta no, viene lasciata sola e maltrattata , talvolta accusata dai medesimi che l’ hanno depredata negli ultimi dieci anni.
Tra XIII e XVIII legislatura ben 11 governi le hanno sistematicamente sottratto 37 miliardi di euro; tutti i governi, in rapida successione, hanno attinto alla spesa sanitaria per esigenze di finanza pubblica, sgretolando progressivamente la più grande opera mai realizzata in Italia.
Nessuno si è opposto, nessuno ha invaso le piazze sventolando camici al posto di sardine, tutti hanno fatto finta di non esserci, di non vedere o, peggio, hanno tentato di dissimulare criticando una “malasanità” che, pur essendo tale in alcune realtà del paese , è stata deformata da interessi e disinteresse, da connivenze e convenienze politiche o personali.
L’ emergenza Covid ha solo speronato una nave abbandonata e indebolita da vecchie falle ; l’ assenza di piani pandemici, la carenza di materiali e personale specializzato non sono una novità ,la affondavano prima dell’ ultimo squarcio causato da un iceberg virale.
La “malapolitica” , l’ assenza di fondi, di investimenti in ricerca , di preparazione e motivazione del personale medico e paramedico stanno affondando l’ ammiraglia della flotta del nostro Stato sociale; finite le scialuppe e le zattere di salvataggio, gettato a mare il patrimonio professionale ed umano ancora a bordo, quale orchestra di primari, medici ed infermieri continuerà a suonare e a salvare sul ponte di una Sanità pubblica che affonda?
Temo nessuno.
Senza un’ immediato ed energico supporto economico e progettuale, non suoneranno più nemmeno le sirene delle ambulanze.https://youtube.com/watch?v=l_k3e1Zft-4&feature=share