#NESSUNOSPRECHIUNVACCINO
25 MARZO 2021, ritorno al centro vaccinale Palaponti.
Dopo tre settimane esatte dalla somministrazione della prima dose vaccinale, il girone “Grandi Anziani” delle 10.30 si ricompone all’ ingresso del centro polisportivo trasformato in hub vaccinale.
Ma qualcosa è cambiato. L’ accesso alle auto private è bloccato, si entra a piedi o in carrozzina. Possono oltrepassare il cancello solo le ambulanze o i mezzi adibiti al trasporto dei cosiddetti disabili “gravi”. Siamo in tanti stamattina, si percepisce una breve coda fluire nel viale.
Le panchine sono occupate dagli over 86, ciascuno con il suo accompagnatore, che osservano sfilare i componenti di un altro girone, quello dei “grandi inabili”. Sommandoli si ottiene un pallido ed inedito puzzle.
Due generazioni lontane nel tempo ma mai così vicine nello spazio; i fragili si fondono generando un mondo a parte, da maneggiare con cura. Mio padre osserva altri padri, uno tiene a braccetto un figlio disorientato e scardinato, qualcuno spinge una carrozzina, tutti in bilico tra consapevolezza ed inconsapevolezza. Tutti in coda, tutti affiancati, aggrappati, educati e silenziosi. La sfilata dei nipoti pallidi inibisce qualsiasi lamentela o commento sull’ attesa da parte dei nonni putativi.
Sono rari i luoghi dove si percepisce così concretamente la fragilità umana. In uno spazio aperto, fortunatamente illuminato da un sole generoso e tiepido, si rivela, senza sfumature, quella parte di mondo che preferiamo non osservare troppo e, non solo, per discrezione.
Sono tutti diversi i convocati delle 10.30 ma tutti caratterizzati da un pallore che testimonia un lockdown esistenziale preesistente a quello ministeriale. Sono tutti malati in questi due gironi che si sfiorano per confluire nello stessa fragile categoria; i “grandi anziani” sono stati aggrediti e consumati dalle salite della vita, “i grandi disabili” sono nati lottando in salita. Entrambi non sono autonomi ; dipendono, hanno perso o non hanno mai conosciuto la libertà.
I fragili sono schiavi della disabilità, sono bloccati da un corpo nemico che diventa carcere , da sinapsi difettose o da una misteriosa ed inspiegabile trisomia dei cromosomi.
Con qualche minuto di ritardo, rispetto alla tabella di marcia, la sicurezza filtra gli ingressi, dopo numerose e vane chiamate rivolte al “personale scolastico”, assente ingiustificato, procede con il check in del girone “Grandi fragili delle 10.30”.
All’ interno del padiglione ci moltiplichiamo, i corridoi di distanziamento pre e post vaccino sono quasi pieni; disabili, anziani e accompagnatori si mescolano creando, involontariamente, l’ immagine di un piccolo circo itinerante. I volenterosi volontari, con le loro maglie colorate e le mascherine decorate con grandi sorrisi da clown, creano macchie di colore che interrompono il pallore ; il brusio di fondo è interrotto a tratti da piccole urla o risate; gli addetti alla sicurezza sembrano i controllori del pubblico prima di uno spettacolo, “Che numero avete? Perfetto, seguitemi e accomodatevi lì,… due poltrone in quarta fila.”
intanto il turnover vaccinale procede, numero 130; eccomi, supero velocemente l’ accettazione e ricevo un nuovo numero, 138, per il colloquio ambulatoriale ; torno al mio posto, sempre guidata a distanza di sicurezza. A tratti si avverte una repentina spinta sull’ acceleratore; tutti cercano di essere piu’ veloci, di vaccinare più’ persone, sfidando una difficoltà incrementata. Purtroppo vaccinare un grande disabile non sempre è possibile e, soprattutto, non sempre è facile.
C’è chi va via spingendo una carrozzina e spiegando al conduttore di ambulanza in attesa che : “No, purtroppo non si può fare…”. Sentendo quel “non si può fare” pronunciato con equilibrio e dolcezza, senza rabbia o risentimento; sprofondo io, sprofonda mio padre, sprofondiamo tutti nella nostra inadeguatezza.
Ma chi sono i “grandi disabili”? La miglior risposta l’ ho trovata in un libro, “Caregiving famigliare e disabilità gravissima. Una ricerca fatta a Torino“. Le autrici (Cecilia Marchisio e Natascha Curto)” li definiscono “Persone che necessitano di assistenza continua , 24 ore su 24, l’ interruzione della quale, anche per un periodo molto breve, può portare a complicanze gravi o anche alla morte”.
Persone che vivono perché qualcuno le tiene costantemente per mano, in simbiosi con una madre, un padre, un fratello, un pedagogista, un volontario; esattamente quello che sta avvenendo ora e qui, non in teoria.
L’ Istat, nell’ ultimo studio del 2015, stima in 3,1 milioni gli italiani con limitazioni funzionali gravi dai 15 anni in su, di cui 1.153.000 non percepiscono l’ indennità di accompagnamento. Si deduce facilmente come e perché la mano che li tiene in vita sia quella di un famigliare.
La disabilità grave colpisce quasi 9 milioni di famiglie, prima del Covid, durante la pandemia e, purtroppo, non verrà sconfitta da una dose vaccinale. Esiste una parte di umanità costantemente messa alla prova e costretta a contare solo sulle proprie forze, su quelle dell’ amore incondizionato e sulla solidarietà. Paradossalmente e’ una parte silenziosa, dignitosa e rispettosa delle regole.
Come se fossimo attraversati dal medesimo pensiero, nessuno accenna al minimo lamento o polemizza per eventuali rallentamenti; ci ricomponiamo tutti, grandi anziani con gli occhi trasparenti ed accompagnatori con le spalle stanche, in un’armoniosa e paziente attesa.
Questa mattina, per ottimizzare i tempi e rispettare i turni di somministrazione, sono i medici stessi ad uscire dalle celle ambulatoriali per chiamare “Il prossimo”, anticipando la successione di numeri sugli schermi.
I “vaccinandi” sono medici giovanissimi,probabilmente freschi di laurea, delicati e gentili che iniettano senza sosta, nel tentativo di mettere in salvo i fragili prima che anche un virus li frantumi. Queste persone non fanno il loro lavoro, come spesso sento commentare, fanno bene il loro lavoro e in questo caso una parola fa la differenza, quella differenza che la meritocrazia dovrebbe premiare, se ancora fosse in vita.
“Chi ha il 138?”…Eccoci, siamo noi.
Seconda dose iniettata in due, tre minuti al massimo; perfino mio padre è ammansito da tanta gentilezza ed efficienza e da tanta fragilità circostante che, per la legge del contrario di Bukerman, lo fa sentire sano e privilegiato, in pace con se stesso. Basta abbandonare l’ idea fissa della ricerca di un prototipo di felicità che non esiste, per sentirsi meglio.
Come da protocollo veniamo accompagnati nelle nostre nuove poltroncine del settore partenze. Quindici minuti di sosta prima di tornare, immunizzati, nel mondo reale, quello dei normali o, apparentemente, tali.
Davanti a noi c’ e’ un gruppo di giovani fragili, sembra si facciano compagnia ma ognuno parla con se stesso. Una ragazzina con una tuta da ginnastica nera e la coda di cavallo si è quasi incastrata nella poltroncina, probabilmente non sa dove posizionare le gambe lunghe e cerca di farle pendere o di trattenerle con le braccia.
Ci guarda e sorride, e’ molto graziosa, inerme e dolce. Sorride a tutto. Alla nostra destra c’è la linea di confine con la zona riservata alle vaccinazioni del personale scolastico con AstraZeneca; tre ambulatori, tre medici e due infermiere.
Nel loro parterre ci sono cinque persone in attesa di dimissione, nessuno entra, escono i medici, si parlano, telefonano, danno e chiedono informazioni. In quindici minuti si è presentata una sola persona; sono fermi mentre il girone dei grandi fragili continua a girare, in entrata, in attesa e in uscita.
Probabilmente l’ assenza dei nomi chiamati all’ appello sarà imputabile ad un disguido tecnico, mi auguro, probabilmente non saranno partiti gli avvisi di convocazione; ma se questa stasi fosse dovuta ad assenze volontarie ci sarebbe molto su cui riflettere, troppo. Saranno i numeri a parlare e a sparlare di questo tempo e di questo materiale umano e antivirale sprecato.
Mio padre mi guarda mostrando il polso e indicando l’ orologio, intuisco che un’ ora di girone gli è sufficiente, lo prendo sottobraccio, come solo nelle grandi occasioni mi consente di fare, procedendo verso l’ uscita . La ragazzina dalle gambe lunghe alza il braccio e agita la mano, ci saluta con un “Ciaoooo” fresco e festoso. Mio padre alza il braccio e ripete lo stesso gesto e lo stesso “Ciaooo” allegro e solidale. I fragili tra loro si prendono , virtualmente, per mano.
Un grande anziano, intristito dalla sue patologie e dalla percezione di una vita che si accorcia, ed una ragazzina allegra, nonostante la vita che può avere, si scoprono uniti nello stesso luogo e nello stesso momento, uniti dal tentativo di proteggerla, nonostante tutto, la vita.
C’ è sempre qualcosa da imparare dai “fisicamente fragili“; il rispetto per un’ esistenza non improntata all’ utopica ricerca di una felicità costruita da esigenze di mercato, l’ istinto di trattenerla fino in fondo per quello che è o, che per molti, non è.
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