L’ ULTIMO Istante SOSPESO DELLA SCALA B.
di Cristina Battioni
Un segmento del diagramma di Cassandra tende a 0, scompare mentre l’ Italia riapre un segmento alla volta, giorno dopo giorno dimentica e progetta, ingenuamente, una nuova stagione.
Il mondo ha ricominciato a circolare con la frenesia precedente al Virus, tutto ricomincia a girare vorticosamente; persone, auto, autobus, monopattini, scolari, runners, negozi, pizzerie, dehors; il tempo decelerato accelera senza consapevolezza, si calpesta, divora se stesso senza sentirsi mai sazio.
Io resto sospesa anche in assenza di un’ emergenza, ad ogni caos ne segue inevitabilmente uno nuovo; osservo e aspetto. Ho deciso di declinare l’ offerta di Cassandra, non sostituirò Seppia all’ Edicola Sospesa, l’ urgenza contingente della realtà non me lo consentirebbe in ogni caso.
La terra beve gli umori di chi l’ ha calpestata e la Scala B ha bisogno di una sanificazione, di nuove storie da miscelare a vecchie malinconie.
Vado a comunicarlo al Prof. Seppia, per me “Seppia persempre“.
Piazza della Vittoria torna ad essere un luogo di incontro, di passaggio, di scambi commerciali. Decine di formiche con la mascherina la attraversano in file disordinate, chi entra, chi esce, chi parla al cellulare tra “bzzzz” di porte che si aprono, gente che va, gente che viene. Il palazzo grigio ha perso quell’ austerità che l’ immobilismo umano gli conferiva.
Entro come di consueto premendo le mie impronte digitali, all’ interno eco di rumori, formiche impiegate e clienti smistate tra scale ed ascensori. Nessuno mi nota, siamo tutte anonime con gli occhi bassi sul nostro tragitto di briciole di tempo. Sono le 18, il mio orologio non si è ancora fermato.
Il piano T è sbocciato dopo due giorni di sole, un cubo di fiori con un coperchio di nuvole e vento. La natura riesce a comporre installazioni perfette quando non ha scadenze da rispettare.
Seppia esce dall’ Edicola Sospesa affiancato da Ombra che mi corre incontro cercando di sfruttare le leve corte delle sue zampe raso prato. “Ciao piccoletto, se mi abbasso fai un salto?”, neanche il tempo di finire la domanda ed il bassottino si accomoda tra le mie braccia emettendo buffi suoni di benvenuto.
Non so come si chiami realmente questo giornalaio, giornalista, scrittore, guardiano e apolide intellettuale, ma non importa più. Conosco le variabili del suo sguardo, il caleidoscopio nell’ iride scura, le zampe di gallina sopra gli zigomi, le inclinazioni della sua voce, il rumore dei pensieri, il suo profumo di lavanda. Il resto è convenzione da formicaio.
Il nome come una targa. Non dice nulla, resta uguale dalla nascita alla morte, il proprietario no. Bisognerebbe poter cambiare nome nei vari segmenti della nostra esistenza, nomi che ci corrispondano e ci identifichino nel divenire, nell’inevitabile cambiamento agito e subito.
“Ciao Prof, ho deciso di chiamarti così, ti si addice. Mi offri un po’ del tuo tempo ?”.
Il Prof sospeso mi prende sottobraccio e mi invita verso la panchina, “Certo, ho tutto il tempo visto che qui il tempo non esiste, se non nella tua testa dura…”. Replico che il mio orologio non si è arrestato questa volta.
“Guarda meglio e dimmi che ore sono ?”
Eseguo, sono le 17.59, il tempo non solo si è fermato ma mi ha concesso uno sconto.
Ci sediamo guardando il chiosco. “Allora Kami, naturalmente sapevo già che non avresti accettato di prendere il mio posto, volevo solo tu conoscessi Cassandra e i suoi montaggi cinematografici. Sono stato qui in questi anni per apprenderli.”
Sospendendo il presente Sandra era riuscita a farmi assistere alla proiezione del passato, anzi il passato era più reale del presente. “Ci sei riuscito?”, gli domando ,”Si, non perfettamente ma credo di si, per questo ho finito il mio romanzo e ora devo andare. Se ci pensi hai imparato la tecnica anche tu”.
E come, come l’ avrei imparata anch’io?
Riflettendoci ho avuto le istruzioni e i mezzi. Talvolta, entrando nel mio cubo sospeso al quarto piano, trovavo solo “roba mia”, roba che avevo dimenticato o buttato via ma che evidentemente tornava mia e mi permetteva di essere spettatrice di segmenti disordinati del mio passato.
“Forse hai ragione Prof. ma i miei sono dei corti; flash, sensazioni, immagini brevi…”
“Si comincia così, poi si osa, si prende coraggio e si riesce a tornare alla sceneggiatura originale, vedrai…”, mi rassicura.
Mi mancherà, mi mancheranno le sue risposte così contemporaneamente folli e reali , quel suo rendere normale l’ impossibile.
Mi parla mentre l’ iride scuro assorbe la luce della sera, “Suppongo che sia la tua ultima visita qui, quindi chiedimi quello che vuoi, anche se non posseggo molte risposte”.
Avrei mille domande inutili, scelgo quelle importanti da cui dedurre tutte le altre risposte. “Che ne sarà di questo posto, dell’ Edicola Sospesa, dei rifugi esistenziali della Scala B?”. Sorride il Prof, come se avessi scelto la domanda più banale tra le tante a disposizione.
“Non ne sarà nulla, come da sempre. Qui non servono certezze come là fuori, quello che accade accade, chi deve arrivare arriva; magari non domani, non sappiamo il giorno ma non è importante. Resterà tutto come lo vedi in questo fermo immagine. Noi usciremo, ci consumeremo, invecchieremo; questo luogo no, ci sopravviverà, lo ha già fatto. A differenza nostra non ha scadenze.”
Non riesco ad immaginare la Scala B senza i suoi rifugiati, senza le paure anonime che si mescolano tra i balconi ed il giardino, senza i quotidiani del giorno prima, senza nessuna sagoma seduta sulla panchina a guardare un indefinito altrove su un muro di proiezione.
“Sarà silenzio e vuoto“, penso a voce alta, “Non proprio, chi e’ sempre stato qui resterà, nel silenzio e vuoto. Era così quando sono arrivato io e sarà così quando uscirò per non tornare.”
“Chi , chi è che era già qui e resterà dopo il nostro segmento ?”
Seppia torna il filosofo che mi ha accolto la prima volta rispondendomi con una domanda, “Chi ti ha portato qui? Come sei arrivata al crocevia dell’ atrio?”, vorrei rispondergli l’ istinto ma riflettendoci e’ stato un istinto guidato, almeno in parte, “Il Notaio, il Notaio, Stante mi ha portato al crocevia”.
Stante è sempre stato qui, tutti siamo passati dal suo studio prima di incamminarci lungo il corridoio cieco della Scala B.

“Esatto, Stante“, mi conferma riassumendo la posizione tagliente da giornalista televisivo, “Stante è il figlio di Beppe, il bottegaio, ricordi?”
Sì ricordo, ora vedo la sua bottega, sento il profumo di pane caldo mentre una donna elegante esce facendo suonare una campanella. La donna è alta e mora, indossa un cappello beige e una camicia bianca, i suoi tacchi sorvolano i cubetti di porfido, si ferma un istante appoggiandosi al chiosco dell’ edicola chiusa. Sembra abbracciarla.
E’ un tiepido pomeriggio di maggio del 1952, Beppe non e’ invecchiato, ha un grembiule nuovo con grandi tasche, il cappellino bianco sostituito da radi capelli castani, il suo viso si e’ arrotondato, il sorriso non si è consumato, nonostante la guerra.
La donna appoggiata al chiosco si toglie il cappello e libera i capelli neri, estrae un fazzoletto dalla borsa e si asciuga il sudore. Ora la riconosco, è la mamma di Sandra.
Seppia gioca con un filo d’ erba mentre commenta il montaggio, “Vedi, l’ isolato è sopravvissuto agli assenti”. Mi invita ad alzarmi e ci incamminiamo verso la vetrina della salumeria. Ogni cosa è esposta con cura e mestiere; prosciutti, salami appesi, ceste di vimini piene di marmellate e conserve, tovaglie a quadretti, sembra di assistere alla rappresentazione invitante di una merenda sul prato.
All’ interno Beppe stappa una bottiglia di Lambrusco e brinda mentre la moglie bacia un ragazzino biondo e ossuto. Riesco a leggere solo alcune frasi dal labiale; ” Ero certo che sarebbe tornata e non avrebbe venduto, ora possiamo stare tranquilli, gli affari vanno bene, compreremo un furgoncino…”, poi il sonoro scompare coperto dalla voce narrante.

Brindano al futuro e a loro figlio Walter, è lungo ma ha solo 13 anni, lo hanno curato come un fiore raro e delicato, è il loro figlio compensativo, quello che studierà, diventerà avvocato e avrà una vita agiata al piano padronale di un bel palazzo in centro.
Mentre Seppia racconta Walter esce dal negozio con una chitarra, tiene un plettro tra i denti, si scompiglia il ciuffo biondo troppo ordinato. Si avvicina alla mamma di Sandra, le offre una gazzosa. “Stà bene Signora? Fa precocemente caldo oggi, torni dentro e si riposi un attimo, i miei stanno festeggiando, si fermi con loro, è merito suo se sono felici”.
La donna sorride rivelando tratti della sua bellezza sfiorita, “Grazie Walter, sto bene. Brindano a te, al tuo futuro, tuo padre mi ha detto che ti piace studiare e che sogna già il giorno della tua Laurea, è molto orgoglioso sai?” Walter annuisce e abbozza un sorriso opaco, “Lo so, io preferirei studiare musica o arte ma per lui non sono “mestieri”, io per lui sono nato con la toga, sogna la targhetta da Avvocato o, ancor meglio, da Notaio. Dice sempre che i Notai sono i padroni della vita e della morte di tutti.”
Nella sospira, si rimette il cappello e con un gesto materno gli sistema i capelli, “Tesoro continua a suonare, accontenta tuo padre ma…ricordati di accontentare te stesso, i sogni degli altri spesso fagocitano i nostri. Le aspettative di chi ci ama rischiano di diventare trappole invisibili, ma tu continua a suonare e ricorda che nessuno, neanche i notai sono padroni, talvolta nemmeno di se stessi”.
Walter beve la gazzosa senza capire mentre la figura malinconica di Nella scompare con le sue ombre. https://youtube.com/watch?v=QEjYpGpCcsY&feature=share

“Hai capito Kami?”, mi domanda Seppia mentre la quinta scenica cambia e ci riporta nel giardino del piano T.
“Credo di si”, rispondo, “quel ragazzo crescendo ha solo ricopiato il diagramma che qualcuno aveva disegnato per lui.”
“No, molto peggio”, puntualizza, “Walter ha assorbito l’ imprinting nel momento in cui è nato, il suo piano astrale disegna un grafico a torta, al centro il suo senso di colpa, il bordo il tragitto da percorrere, senza interruzioni ne strappi. Una garanzia di stabilità, una vita sicura con le grate alle finestre.
Walter si è trasformato nello studente, nel laureato, nel Notaio Stante per non deludere nessuno. Ha fatto strada ma non si è mai spostato da qui. Ecco perché ha acquistato il suo studio proprio in questo palazzo. Tornare al punto di partenza, rispettare il cerchio perfetto chiuso da un nodo scorsoio senza accorgersi della sua metamorfosi in cappio perfetto.
“Eppure, quando l’ ho incontrato qui mi sembrava una persona serena, sentivo spesso il suono elementare di un giro di do dal mio balcone, ascoltavo la sua voce leggere, ma non sapevo, non ero certa, fosse lui”.
Mi è sempre apparso come un cigno nero a cui avevano legato le ali fino a farle atrofizzare.
Seppia mi indica il muro con i gelsomini; “Credo che se potesse sarebbe volato oltre il muro ma ha paura, nel suo imprinting le cadute sono un peccato mortale ed immorale. Qui disegna, a modo suo, un raggio impazzito del cerchio, cerca di cambiare il Pi Greco, respira, ma poi rientra nella formula che ha memorizzato, sarà così, anche dopo di noi”.
Eppure ci deve pur essere un’ istante, anche fugace, in cui la mancanza d’ aria provoca una reazione verso la sopravvivenza; dopo aver pagato tutti i conti del passato, dopo aver compensato ogni aspettativa, cosa resta?
Troppo difficile, non esistono formule per definire “cosa resta”; torno al presente e a Seppia.
“Suppongo non ci rivedremo più la fuori, ma farò il tifo per il tuo romanzo e per tutto ciò che farai, sarai estremamente emozionato?”
Mi risponde con tono distaccato, “No, ho scritto quello che avevo da dire, piaccia o non piaccia, e continuerò a farlo. Non mi affascinano i tour di presentazione o le comparsate nelle trasmissioni tv imposte dal lancio editoriale ma fanno parte del gioco, del mio rimettermi in gioco dopo essermi riscritto e rivisitato.”
Riscriversi e rivisitarsi dopo ogni segmento, dopo ogni parentesi chiusa, reinventarsi senza tradirsi, l’ unico modo per tendere alla sopravvivenza ed evitare il macero.
” Lo leggerò con estrema cura, so che ogni volta troverò le domande e le risposte che mi serviranno…”. “Credo di si… adesso vai che detesto i saluti, non ci si dovrebbe mai salutare, nessuna vita è lontana, nessun luogo è diStante. Ci si rincontra spesso nei crocevia”.
Ci abbracciamo come due anime che hanno condiviso la stessa stanza d’ ospedale, legati ma liberati.
Mi allontano senza voltarmi, mi infilo per l’ ultima volta nell’ ascensore che mi ributta nel mondo reale. Guardo l’ orologio, sono le 18 al centro dell androne del palazzo .
Mentre apro il portone avverto un profumo maschile, sento una mano leggera sulla spalla; mi volto e vedo Walter alto e magro come nel 1952, con i pochi capelli chiari scompigliati e uno sguardo velato. Non dice niente, mi regala una rosa del piano T.
“E’ una Eden Rose, la conservi come segnalibro”. Il gambo è liscio, come se qualcuno avesse accuratamente tolto ogni spina. La prendo e lascio che il mio pensiero diventi suono, “Nessun posto è DiStante caro notaio, nessuna strada e’ un cerchio, nessuna rosa è perfetta ma è nell’ imperfezione la formula vitale. Le auguro una buona serata”.

Ritorno formica anonima nella piazza, il Palazzo alle mie spalle, il prossimo segmento davanti a me con le sue variabili imprevedibili capaci di far saltare qualsiasi previsione e qualsiasi sospensione…
E ora che ne sarà del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ ho studiato
senza saperne nulla.
Un imprevisto è la sola speranza
Ma mi dicono ch’è una stoltezza dirselo.
Prima del viaggio-Eugenio Montale
TO BE CONTINUED…SEMPRE QUI ALLA SCALA B