IL DIAGRAMMA CARTESIANO DI SANDRA
-Primo tempo-
Di Cristina Battioni
Ho riflettuto a lungo sull’ offerta della Scala B. Potrei trovare nell’ Edicola Sospesa un rifugio, un luogo in cui leggere, imparare, ascoltare ed ascoltarmi. Ma sarebbe una fuga ed i sospesi si nascondono ma non scappano, non ne sono capaci.
Noi stiamo, restiamo, a costo di cadere e farci male, siamo i patologici delle risalite. Abbiamo bisogno di violenti temporali di vita, di ripari momentanei, di silenzi incomprensibili per risanarci prima di tornare a scalare il diagramma sconclusionato della nostra esistenza.
Incontro Cassandra sabato mattina al Piano T. E’ il primo maggio, l’ Italia in semi-libertà festeggia i lavoratori non lavoranti ed io mi preparo ad incontrare una donna senza età in un luogo non rilevabile.
I normali come i sospesi vivono nel paradosso.
Indosso un robe manteau blu, un paio di décolleté tacco 10 e sciolgo i capelli, ho perso l’ abitudine all’ eleganza ma un incontro con il passato richiede un’ uniforme adeguata con un leggero retrogusto di naftalina e di oggetti dimenticati tra le cose inutili.
L’ essenziale femminile singolare. Mi concedo solo l’ orologio di mia madre fermo da anni sulle 15,25 e un filo di rossetto color peonia.
Arrivo a Piazza della Vittoria verso le dieci. Il mese delle rose tarda ad arrivare, al suo posto ancora nubi e aria umida gonfia di pioggia. Gli uffici sono chiusi ma i bar aperti, qualcuno sbadiglia tra cappuccini e croissant, poca gente in giro, il vento di burrasca scoraggia le passeggiate.
Prima di sfiorare il portone mi soffermo ad osservare la targa dello “Studio Notarile”.
Come può essere cominciato da lì questo mio viaggio attraverso il tempo? E quanto è durato? Settimane, mesi, anni o solo pochi istanti nascosti? Stante, il Notaio, sarà nell’ altra sua vita stamattina, sulla rotta circolare e perfetta di un orologio rotondo. Ogni giorno la sua lancetta disegna come un compasso un cerchio perfetto attorno a lui che cammina spinto da una forza d’inerzia all’ interno della circonferenza, attento a non inciampare, a tornare esattamente nella stessa posizione ogni 24 ore.
Ogni giorno uguale all’ altro, senza sbavature o ritardi, ogni battuta ed espressione immutata, la stessa rappresentazione fedele attesa da un publico che aspetta solo continue repliche rassicuranti.
Il suo diagramma e’ a torta, il mio un diagramma cartesiano a segmenti, picchi e discese repentine.
Il portone si apre come spinto da una corrente fredda, piccole gocce sul pavimento dell’ atrio indicano il recente passaggio di Cassandra e del suo ombrello perennemente intriso di pioggia. Seguo il sentiero d’ acqua fino al muro del corridoio cieco, sento il rumore di tacchi e non li riconosco ; sono i miei.
L’ ascensore mi accoglie, mentre mi sistemo il vestito avverto una piccola vertigine che mi accompagna al piano T. Mi aspettavo solo silenzio e vuoto ed invece il cubo verde ed il suo coperchio di nuvole grigie sono animati.
Una musica fluida danza con il silenzio, i gelsomini lungo i muri interni cominciano a sbocciare profumando il giardino, al posto delle forstizie piante di rose con i boccioli ancora chiusi, l’ Edicola Sospesa è aperta con le sue litografie appese; sulla panchina Marco fuma in compagnia di una vecchia signora avvolta in un impermeabile beige, non è come la immaginavo; austera ed elegante, ma solo uno scricciolo con scarpe da bambina nere che sfiorano il prato.
Si somigliano, potrebbero essere madre e figlio, stessi lineamenti delicati, stessi capelli imbiancati e lucidi, stessi occhiali da miopi. Marco mi viene incontro, ora che non ha più il suo ruolo è libero di sorridere ma non ha perso la postura elegante da primo attore.
“Buongiorno Kami, deliziosa vestita da signora, quasi non la riconoscevo…dovrebbe farlo più spesso.” Il commento gentile mi fa sentire inadeguata, non mi sento più nei miei panni, rimpiango i miei soliti jeans e gli scarponcini. Sembro un’ impalcatura instabile edificata alla meno peggio per paura di un incontro, una specie di gru che cammina goffamente verso una bambina invecchiata. Comunque cerco di camuffare il mio senso di disagio. Marco, per me ancora e sempre Seppia, percependo il mio innaturale equilibrismo mi prende inusitatamente sotto braccio, mi stabilizza . Le mie dita si aggrappano al suo maglione morbido .
“E’ la Signora Cassandra vero?” gli domando avvicinandomi alla panchina, “Si, e’ arrivata presto per visitare il chiosco e salutarmi; non si alza perché ha qualche problema di stabilità … un pò come te…”, commenta sbirciando i miei tacchi.
Già, due donne, chissà quanti gap generazionali tra noi, eppure così vicine e simili nel tempo in pausa. Cassandra si appoggia all’ ombrello e si alza nascondendo lo sforzo delle ginocchia ossute, ora posso osservare la sua figura fragile al centro del suo spazio. Sembra una bambina invecchiata, le dimensioni dell’ ombrello chiuso la sovrastano.
Uno scricciolo delicato appoggiato ad un ramo cartesiano del tempo.
Cassandra è un nome inadeguato a questa donna minuscola con piccole mani fragili e grandi occhi color cenere. Prima di parlare mi porge la sua zampina, sento le sue dita senza forza cercare di stringere la mia mano. Osservo con invidia le sue ballerine nere, vorrei togliere i tacchi, lo faccio. Ristabiliamo un equilibrio nel diagramma a barre.
Cassandra mi da la sua benedizione, “Buongiorno mia cara, ero certa lo avrebbe fatto, lo avrei fatto anch’io, e’ un peccato perdersi la sensazione del prato morbido sotto i piedi, non e’ vero?”
Ha una voce lieve ed antica accordata al profumo delicato di uno chignon di zucchero filato. Non lascia la mia mano mentre mi invita a sedermi accanto a lei. Marco appoggia sulla panchina un vassoio di paste calde ancora impacchettate, “Vi lascio queste, ne avreste bisogno entrambe; se dovesse alzarsi il vento ritorno subito, non vorrei trovarvi sui rami dell’ albero.” Sdrammatizza da bravo padrone di casa e ci lascia al nostro talk show di cui conosce già domande e risposte.
Mi accarezza il viso prima di cominciare la sua spiegazione, io mi lascio cullare. “Cara Kami, so che qui la chiamano così, come già saprà Il Prof Seppia sta per lasciare il suo ruolo di guardiano del faro, la Scala B e’ in cambio turno. In tanti anni non era mai stata cosi’ vuota.”
La dolcezza accogliente della mia sconosciuta interlocutrice mi incuriosisce, “Tanti anni quanti ?” le domando, “Troppi, ho perso il conto. Questo palazzo e l’ area circostante appartenevano alla mia famiglia, nel secolo scorso ovviamente”.
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